Nel 2018 Daniele Marinelli, l’imprenditore romano che ha creato e progettato il DTCoin all’interno dell’ecosistema DTCircle, ha vinto una importante battaglia contro gli haters che l’avevano denigrato prima su Google e successivamente su Facebook. Andiamo a vedere cosa era successo e cosa stabiliva, a tal proposito, il Garante per la Privacy
Il riconoscimento del diritto alla deindicizzazione
Il Garante Privacy è stato chiamato a decidere in merito ad una vicenda che vedeva coinvolto Daniele Marinelli, la cui web reputation era stata gravemente danneggiata a seguito di numerosi commenti falsi, negativi e diffamatori su vari siti web. Considerando che la maggior parte dei commenti presentavano un contenuto esclusivamente ingiurioso senza che vi fossero elementi in grado di sostenere quanto dichiarato, la presenza di tali contenuti ha rappresentato, per l’imprenditore e fondatore di DTCoin, un grave danno sia alla sua persona che alla sua professionalità. Gli articoli, infatti, andavano a colpire direttamente la credibilità di Marinelli in qualità di imprenditore, denunciando la totale inaffidabilità di DTCoin. A tutti questo, inoltre, si è anche aggiunta una grave violazione della privacy, in quanto veniva anche riportata un’immagine che ritraeva l’imprenditore in volto, senza il suo consenso o una sua preventiva autorizzazione.
La risposta di Google ed il successivo provvedimento del Garante
Prima di effettuare il reclamo al Garante della Privacy l’imprenditore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Domenico Bianculli, aveva coinvolto Google, avvalendosi del diritto alla deindicizzazione. Ma nonostante la bontà delle sue ragioni, il motore di ricerca aveva clamorosamente rigettato la richiesta avanzata, in virtù di una “presunta” pertinenza alla sua vita professionale, avallando in questo modo il comportamento degli utenti del web che avevano preso ingiustamente di mira il noto imprenditore. A seguito del reclamo presentato al Garante, da parte dell’avvocato Bianculli e al termine della fase istruttoria, l’Autorità ha ritenuto fondato il reclamo ordinando pertanto a Google di eliminare tutti gli URL oggetto del reclamo, nel termine fissato di venti giorni dalla data di ricezione. Tra le motivazioni che hanno portato a ribaltare la situazione c’è la “sussistenza di un pregiudizio dei diritti del reclamante, che non può ritenersi bilanciato da un interesse del pubblico alla conoscibilità di informazioni, tenendo anche conto che la parzialità di quelle reperibili tramite gli URL indicati non consentono di fornire allo stesso pubblico gli elementi necessari per poter effettuare una corretta e, quindi, veritiera ricostruzione della vicenda”.
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